lunedì 29 giugno 2015

Il Noleggio dominato di sè



Alcune volte riesco ad andare in montagna, non tanto spesso, il più delle volte a breve distanza da Trieste mi rifugio in Carnia, un posto al quale sono particolarmente affezionato, il nostro è un pò come un amore estivo, da amanti , una intimità senza conoscenza, ogni volta che ci ritroviamo è un piacere.
Si è tanto scritto sugli effetti benefici psicofisici dell'andare in montagna, quel luogo dove la natura esplode in tutta la sua meraviglia e diversità.
La Montagna ti tratta sempre come parte di lei, ti ritrovi a far parte del tutto,che lo si voglia o meno, chi va in montagna appartiene ad una fauna umana particolare.
Al ritorno in città permane dentro di me come un andamento rallentato, una sensazione che quei posti respirino e viaggino ancora dentro di me, il corpo si velocizza per assolvere alle attività quotidiane mentre l'anima si riposa in una forma non conosciuta, vivo una desincronizzazione per due giorni al termine dei quali parte un refresh automatico e un ritorno alla mia non diagnosticata iperattività mentale e fisica.
Tutto questo mi suggerisce un idea del mondo a coppie, come se fosse una diade a creare senso, a dare realtà a ciò che ci circonda, ad un movimento o ad un'azione.
Non esiste sacrificio senza il dono di sè, sobrietà senza cura di sè, auto tamarra truccata senza finestrini aperti con musica commerciale a palla.
Acquisiamo risorse se oscilliamo con le nostre criticità, l'equilibrio si ha non nell'immobilità ma nella ricerca precisa di una percentuale di noi in movimento in un continuo che ha agli estremi inedia e dissipazione di energia.
Continuate a seguirmi ancora un attimo:
Facendo un trekking per le mie associazioni mentali penso alla disfunzione dell'attaccamento nelle sue forme di abbassamento della nostra energia, ovvero come un contatto morboso o un glaciale distacco possano essere equilibrati da una consapevolezza di affitto e non possesso delle cose.

Mi spiego meglio:

Se spingo al limite questa concezione del noleggio di questo mondo mi avvicino alla precarietà ma anche al vero manifestarsi di me stesso.
Quale è l'atteggiamento che ti permette di essere allo stesso tempo e in qualsiasi posto del mondo sia un piacevole turista che un omino autoctono accanto al suo focolare?
Il noleggio controllato di sè.
Immagina come se in ogni posto del mondo, in ogni occasione in ogni acquisto tu fossi un semplice anello intermedio, la "tua" macchina passerà a qualcun'altro la "tua" casa verrà abitata da altre persone, i "tuoi" figli riceveranno altre tradizioni.
Angosciante?
Si?
Ora immagina di non esser tu ad essere padrone di tua moglie, del tuo compagno, di tua figlia, forse neanche di te stesso.
Riesci a reggere tutto questo?
Ebbene sempre ipotizzando uno scenario apocalittico di questo genere tu sei in affitto in questa vita con un contratto più o meno lungo che decidi tu di stipulare:
" Vorrei vivere fino a 100 anni, vorrei sposarmi , mi compro una casa, voglio avere dei figli e conoscere i miei nipoti".
Ti chiedo di percepire la delicatezza di questo passaggio: sei tu che stipuli ma che non decidi, la tua volontà decide ma la realtà sancirà.
Ci si stupisce quando una cosa accade improvvisamente, ci stupiamo del perchè capiti proprio a noi, mai ci saremmo sognati che avrebbero calpestato proprio noi.
Io lotto, possiedo, consumo:
" Ho diritto a questa vita!! e nessuno può togliermela!" 
I nostri più celati pensieri magici infantili si inchinano a questo oracolo.

E invece...
LUMACA 1: 
- Ehi! Attenta alla Macchi..Crack
LUMACA 2:
- L' ho Vist..Crack
( Discorso funebre tra due lumache al casello)

Viviamo in questo mondo, piccoli, fragili, percorriamo strade che altri hanno già percorso, ci mobilitiamo per battaglie già combattute, perdiamo di vista così il percorso, la persona che ci precede o quella che ci sta seguendo, smarriamo la consapevolezza di essere tutti sulla stessa via in momenti diversi.

Ok! Sostituiamo quindi una regola disfunzionale con una funzionale nel nostro sistema.

Siamo molto più lenti di quello che immaginiamo, la nostra anima rallenta o si velocizza, prende forma nel movimento.
Che tu sia una lenta lumaca di montagna o uno scattante motorino di città la tua carena è molto fragile impattata ad alte velocità o contro grandi ostacoli.
Apparteniamo ad un posto, ad una persona o a delle cose solo per un periodo limitato di tempo, questo può diventare una soffocante angoscia o una buona pratica per celebrare un' ecologia universale dove il noleggio controllato di sè diventa la soluzione d'equilibrio tra il bisogno di appartenenza e quello di differenziazione e di libertà.

mercoledì 10 giugno 2015

Confini





ANTEFATTO:

Ieri.

Dieci anni fa arrivavo a Trieste per la prima volta e molti miei amici e alcune persone che incontravo mi chiedevano come mai avessi scelto questa città per abitare.
Rispondevo logicamente adducendo vari motivi di studio, una voglia di scappare lontano, o semplicemente una simpatia per la città "Mitteleuropea".

Oggi.

Trieste l'ho conosciuta sulle pietre del carso, nelle persone che non sono nate a Trieste ma che parlano triestino, l'ho conosciuta tra i paesini dell'Istria, l'ho conosciuta in Slovenia e tra la minoranza slovena, l'ho conosciuta nelle parole di americani emigrati, l'ho conosciuta in diverse lingue.
L'ho conosciuta in tutti i posti dove Trieste sembra finire, l'ho conosciuta sulla punta delle dita come in una elastica estensione di un braccio forte e sofferente e l'ho conosciuta bella e libera come se non appartenesse completamente a se stessa.

SCENA:

Ieri notte navigando su internet riflettevo su quanto una notizia sul web mi permette di distrarmi più o meno consapevolmente da tutto il resto che mi circonda e da me stesso, entro così in un turbinio di emozioni e divento un grande opinionista, mi costruisco una bella identità ricca di nozioni, notizie, significati e fonti attendibili, convinzioni più stabili possibili, in modo da rivolgermi al mondo on line nel modo più sicuro possibile.
Il risultato è quello di sentirmi incrostato da tutti questi ragguagli, argomenti e notifiche.

Il futuro sociale e di reputazione virtuale nella rete si giocherà sempre più su poche parole chiave, le quali sanciranno l'affiliazione degli accoliti alla propria setta linguistica ideologica o di significato semantico della vita.
Tutto questo a gloria e onore di un sentimento di patriottico nazionalismo del proprio Io.

Nella psicoterapia della Gestalt, l'incontro con l'altro è gestito sul confine del contatto, al limitare di Noi.
Gestire i confini del proprio carattere e della propria identità è periglioso in quanto se da una parte rischio di essere troppo rigido e diventare un inflessibile apologeta di me stesso, sulla polarità opposta mi riverserò in una azione "pastorale" alla ricerca di infinite lusinghe e consensi.
In ogni caso sarò sempre IO al centro dell'attenzione.
L'Horror vacui di essere nulla e di esserci per l'altro senza imprimere il nostro volere ci fa entrare in una sindrome di panico o di rabbia globale.

Come possiamo vedere l'amore se non lo trasportiamo al di fuori di noi stessi?

L'amore è pulsante, ne possiamo assaporare la forza centripeta solo quando abbiamo esercitato quella centrifuga, non credo affatto alla frase: "SOLO SE AMO ME STESSO , POTRO' AMARE GLI ALTRI " a mio avviso è un assunto illogico, non posso infatti provare solo una cosa della quale posso avere esperienza solo in relazione.
Se adorassi "LA RELAZIONE" il dio della psicoterapia umanistica, potrei azzardare che per incontrare l'altro dobbiamo maieuticamente partorire l'amore, gettarlo fuori nel mondo, pensarci come ottimi involucri, primo stadio di una evoluzione ad uno spazio esterno di condivisione.
Può sembrare questa una ipotesi schizofrenica solo nel momento in cui io non so a chi faccio spazio dentro di me, sono contenitore di chi o di cosa?
Troppo spesso ci sentiamo come uova sode piene di emozioni, pensieri, parole, giornate faticose.
Quando Sant'Agostino diceva che passiamo inosservati a noi stessi forse non si aspettava che oggi avremmo vissuto perdendo fiducia in Dio e permettendoci raramente l'oblio di noi stessi.
Paradossalmente il Big Bang di conflitti tra le persone avviene tra identità cristallizzate e poco comunicative, e ora si trasfigura in dibattiti microbellici tra idee millimetricamente distanti l'una dall'altra.
Cristiano perseguiterà cristiano, omosessuale offenderà lesbica, il muratore denigrerà il manovale, docenti, medici si culleranno nella creazione delle proprie identità fatte di pseudo stabilità che calmeranno un incontro troppo schockante con l'altro.
 
FINALE: 
 
Domani forse torneremo a parlare di immigrati furbi, dell'Italia ladrona, del sospetto che le nostre idee meravigliose attendono solo di essere rubate, di come sappiamo fare bene un mestiere o conosciamo bene un argomento o di come non lo conosciamo affatto e questo ci fa soffrire.
Ma oggi no.
Oggi per questo minuto pensiamo ad una terra di confine, dove partendo dall'entroterra andiamo verso il mare, immaginiamo un viaggio con la consapevolezza che sappiamo da dove siamo partiti, conosciamo la strada del ritorno ma adesso al confine della terra dove finisce la terra, al limite dei nostri confini ad aspettarci c'è un'altra persona e vi assicuro che da lì si gode di una vista imperdibile.











venerdì 29 maggio 2015

Una piccola idea





 C'era una volta un lupo di mare.




















 

Era vecchio ma ancora giovane, severo ma gentile.
Un giorno saltellando durante una delle sue passeggiate sulle spiaggie, trovò tra i vari rifiuti una mezza bottiglia di plastica all'interno della quale era accartocciato un piccolo rotolo di carta spiegazzata, agguantò il rotolo, gettò il pezzo di plastica sbiadito dal sale e dal sole e con i suoi occhi stanchi ma vigili iniziò a leggere sottovoce:

"Lasciar andare, lasciarsi andare.
Diciamo pure che sono un habitué della Legge di Murphy. Nel corso degli anni, che ormai cominciano ad essere abbastanza numerosi da potersi considerare significativi, il più delle volte ho dovuto sottomettermi all'assioma che, se c'è qualcosa a cui tengo e che desidero con tutta me stessa, è pressocchè certo che andrà male. Fortunatamente, tra gli accessori che mi sono stati forniti di serie, è compresa una certa dose di ironia, il ché aiuta non poco nell'affrontare le curve impervie della vita. Fare i conti con l'irrealizzabilità di un progetto a cui tieni, l'irrevocabilità di alcuni avvenimenti, l'inaccessibilità di qualcuno che pure vorresti parte della tua vita, è una frustrazione ed una ferita al proprio narcisismo, ma porta con sé una delle lezioni più importanti che mi siano state impartite. Impara a lasciar andare. In un mondo che lascia molto poco spazio all'imperfezione, in cui “volere è potere” (e non sono sicura di quale significato attribuire alla parola potere...) e prosperano psico-guru che dovrebbero insegnarci la via della realizzazione personale, lasciar andare suona quasi come una bestemmia. 

Senza quasi.
 Eppure lasciar andare significa accettare, significa lasciare liberi gli accadimenti di svolgersi per come devono, libere le persone di comportarsi ed essere per come sentono, libero chi amiamo di lasciarci, di andarsene o di restare. Lasciare andare allora non ha niente a che vedere con il piegarsi (per restare nell'analogia con il potere) a ciò che non gradiamo, ma c'entra invece con la libertà.
 E dunque con l'amore.
 È compiere un passo indietro e fare spazio, fare un luogo in cui accettiamo di non essere onnipotenti, di non poter controllare tutto, accettiamo di poter soffrire. E di essere in grado di guarire dal nostro dolore. Lasciamo andare e ci lasciamo andare. Che poi è la premessa per entrare davvero in relazione con qualcuno.
In effetti credo che, se aspettassimo di poterci fidare ciecamente di qualcuno per innamorarci, avremmo finito per estinguerci da un pezzo. La questione non è essere certi che l'altro non ci ferirà, ma accogliere quanto di imponderabile e misterioso vi è nello scorrere della vita. Assumerci la nostra quota di responsabilità, e non oltre. Restituire all'altro la sua quota di responsabilità, e non oltre. 

È, in ultima analisi, sgombrare il campo dalla colpa, nostra o che attribuiamo all'esterno. Perchè non si è mai visto che il senso di colpa abbia mai fatto crescere nessuno. Né che abbia fatto restare nella nostra vita chi non lo desiderava".
E.
Il lupo fece una smorfia con il muso, ne aveva passato e visto di cotte e di crude nella sua vita e ascoltate ancora di più, tutte quelle parole erano per lui incomprensibili, quindi con noncuranza e anche un pò annoiato fece una palla di carta con il rotolo, con un bel calcio la fece volare lontano da sè, e con un balzo in acqua e due pinnate era già sulla sua isola a prendersi beatamente il sole.


Di lì a poco passava sulla spiaggia un vecchio artrotopo disoccupato, licenziato poco tempo prima da alcune signore chiamate Moire (dovete sapere infatti che questo simpatico roditore era assunto a tempo pieno, diciamo... nella rescissione o meglio recisione di alcuni contratti..di vita), insomma aveva perso il lavoro per alcune divergenze di vedute sulla gestione aziendale.
Tutto ad un tratto, il topo si trovò a terra zampe all'aria, era caduto e notò un rotolino di carta ingiallito sul muso poco sopra i suoi baffi.

Lo lesse.

Il roditore cominciò a piangere, singhiozzare, disperarsi per tre giorni di seguito.

Al 3° giorno Dio, sentite le lamentele di tutto il vicinato parlò:

Dio: " Ehi tu perchè piangi?"

L'artrotopo pensò di essere ormai completamente pazzo vinto dal suo dolore quando riudì la voce.

-D. :"Si tu topo, cosa hai da piangere?"
 il topo ormai commosso irrimediabilmente parlò come si può parlare all'intimo della propria coscienza, di come quelle parole scritte lo avessero toccato e della sua impotenza nel non poter fare niente.

Dio disse:
" Cosa fai nella tua vita?"
T. : in effetti sarei momentaneamente in cerca di occupazione..
D. : Lo so! Ma cosa vuoi?
T. : in effetti io vorrei...
D. : Ok ti assumo!

T. : Ma non so neanche chi sei, manco ti vedo, e poi che contratto? 
      Quali garanzie?
      Siamo nel 2015, ho bisogno di sicurezze!


DIO: Ascolta: Ho una piccola idea che potrebbe interessarti.
        Sarai in prova per un anno sotto la mia supervisione, il tuo lavoro sarà 
        quello di tagliare tutti i legami inutili e dannosi che legano e soffocano le    , 
        persone affinchè io possa tessere quello tra me e loro.

In quel preciso istante, si udirono nel mondo sospiri, lacrime di gioia, WOW da bambino, battiti di mani, balli, baci rumorosi, baci silenziosi, pacche sulle spalle, abbracci.

Nuove scoperte nascevano da una piccola idea.

                         L'Artrotopo aveva cominciato a lavorare.














giovedì 21 maggio 2015

DOPPI SEGNALI, DOPPI LEGAMI





Ti sarà capitato almeno una volta nella vita di trovarti inaspettatamente in una "posizione insostenibile".
Un momento dove tutto diventa paradossalmente logico, ma proprio per questo altamente confusivo.
- " Ma mio padre, mi sta dicendo che mi vuole bene quando mi chiede di passargli il sale o quando mi sgrida perchè io gli ubbidisca?"
- "Non capisco cosa abbia voluto intendere mamma con quella frase pungente e quel ghigno sorridente quando mi dava i soldi della paghetta".
- " Con mia moglie è sempre la stessa storia, che faccia una cosa o l'altra mi sento sempre peggio e a lei non va mai bene niente".
Queste sono solo alcune delle situazioni dove può essere presente un doppio segnale, cioè una situazione apparentemente neutra dove tu sei in mezzo a due messaggi con intensità uguale ma direzioni diverse nello stesso momento, in pratica immagina che sul tuo cervello ha più o meno questo effetto:


Spesso questo succede nei primi rapporti significativi della nostra vita, quelli con i nostri genitori.
Piovono dall'alto polpette di imposizioni contradditorie che farcite con assenze e presenze ambigue o evitanti possono portare a problematiche di tipo schizoide.

CHE VUOL DIRE?

Immaginate le vostre vite condite esclusivamente da relazioni " Mamma Mediterranea".
La vostra genitrice vi esorta ad andare per il mondo a fare le vostre scoperte, ma al momento della vostra partenza, o della preparazione della vostra valigia vi  ama sempre più con frasi del tipo " Tu vai, io muoio", non necessariamente pronunciate vocalmente.
Ipotizzo che questo bel gioco, che per alcuni diventa un lavoro remunerato, appartenga a molti operatori che si adoperano in ambito educativo, sia con i propri figli che in una qualsiasi relazione di aiuto, parlo di operatori con i propri figli perchè l'effetto anche sulla relazione familiare è abbastanza meccanico, fatto prevalentemente di operazioni.
Funziona un pò così:
A) Tuo figlio ( cliente, paziente, utente) fa una cosa sbagliata.
B) Tu pensi: è sbagliato! o meglio pensi a ciò che ti è stato insegnato come sbagliato.
C) Punisci tuo figlio (cliente, paziente, utente) lo rimproveri o gli spieghi che ciò che ha fatto è altamente riprovevole.

A questo punto la comunicazione è suddivisa percentualmente in questo modo:

95% = Tu e la tua arringa.
  5% = La mimica facciale basita e il silenzio del tuo interlocutore.

Quale è il messaggio di questa relazione?
Il motivo per cui si agisce in un modo conosciuto, appreso, per quanto giusto e onorevole sia può nascondere la necessità di appiccicare un'immagine all'altro per tappare la propria angoscia.
Durante la giornata mi chiedo più volte, ma perchè tutte queste domande sul come si costruisce una relazione?
La suggestione che mi evoco da solo è che se noi per un momento paragoniamo il principio educativo generale ad un precetto come può essere quello di stile ebraico fortemente a servizio di una legge che ce ne facciamo di una relazione con l'altro, o meglio che ce ne facciamo dell'altro?
Tutto è già stato studiato, ispirato, regolato.
Mi colpisce sempre la sicurezza e la bontà di alcuni mentori psicopedagogici o di alcuni baldi genitori nell'accettare senza remore una unica teoria educativa e proporla indistintamente ai propri tre figli o ai propri discepoli.
Insomma il metodo educativo o terapeutico nella relazione d'aiuto diventa in questo modo lettera che uccide, lo spirito creativo ne esce fortemente compromesso.

A livello prosociale però si continua a rispondere falsamente così:

                      PIANO EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO


Obbiettivo raggiunto: L'utente annuisce e esegue secondo il buon ordine delle cose.

Obbiettivo..Fallit..(non si dice) da ricalibrare: L'utente è oppositivo, non collabora, abbandona la situazione, reagisce violentemente alla "sana imposizione".

Unica variabile non presa in considerazione:

Il " Datore di Cura" dove sta?

Nella relazione è presente?

Il doppio legame viene traslato nel tempo, il Datore di Cura soffre e diventa un canale di coercizioni apprese, spesso non sue, sulle quali non ha avuto alcun senso critico, ne tantomeno è riuscito a filtrarne il marcio.
Le coercizioni libere di fluire passano da un ricevente all'altro e si attaccano come melma che lega e imprigiona la vita.
Il doppio legame diventa intergenerazionale, impedisce con l'andare degli anni ad ogni membro di quella famiglia di masticare e discriminare con esperienza in prima persona la propria pedagogia, quel poco che consente è di trasmettere una pseudoeducazione di facciata.
Ora non immagino soluzioni, però pensare che alla stessa stregua di comportamenti violenti, passivi o benefici e altruisti appresi, anche un certo tipo di doppio legame abbia una base trasmissiva genealogica, mi porta a dedurre che ci possa essere un contrapasso funzionale, cioè quello di potersi distaccare da un certo tipo di filtro feticcio esistenziale e di visione della realtà che troppo spesso confondiamo con noi stessi.

NOI NON SIAMO LA GRIGLIA CON CUI VEDIAMO IL MONDO.

In verità, possiamo attingere ad uno spirito che vivifica la nostra intera esistenza, formandoci non ad imitazione dei santi o di uomini migliori di noi ma nelle ferite della nostra persona.
Il vero cambiamento storico abbraccerà la nostra storia personale e non sarà frutto della buona riuscita di un metodo, ma del fatto che è rivolto personalmente ad ognuno di noi.





giovedì 14 maggio 2015

Lo Psicoeconomo











Oggi guardavo un video su Youtube di Mauro Scardovelli, un docente universitario che ha abbandonato la carriera per fondare un Istituto di ricerca umanistica, più o meno so questo di lui.
In questo momento non importa tanto lui, ne tutte le cose che afferma durante la sua lezione all'Università di Economia di Genova, ma una cosa mi ha colpito, una sua riflessione che sento di condividere anche io in questo periodo.
Si parla di Economia ma anche di Psicologia e Filosofia:
Ormai sempre più psicologi si occupano con passione ed entusiasmo di vendita e di mercato come se la disciplina dell'anima avesse scoperto di possedere il fantomatico gene X.
Nasce quindi una nuova disciplina mutante da super eroi attraverso la quale con l'utilizzo di tecniche e di test si può aprire magicamente la mente e il portafoglio di migliaia di pazienti o meglio di migliaia di persone " dal potenziale ancora inespresso".



La imperitura sciocchezza nota ormai a chiunque:
" Utilizzate solo il 10% del vostro cervello"
e altre sullo stile: come poter acquisire risorse e poteri telecinetici per esprimere al meglio le proprie potenzialità, per far soldi, parlare davanti ad una platea, superare un lutto facendo un HALF IRONMAN comodamente seduti a casa vostra, ha tirato su più pesci che un paranco!


La Psicologia, figlia della Filosofia e del veder lontano, ha trasceso tempo e spazio solo per esigenze di mercato ed è diventata schiava dell'economia.
Come sottolinea Scardovelli, come altre materie pseudo sociali è rimasta accecata dal suo individualismo, dalla sua sete da "parco clienti", da un narcisismo egoistico, perdendo di vista il vero perchè dello studio della natura umana.
Come un utero in affitto di conoscenza e clinica, la Psicologia è stata fecondata da movimenti di mercato, posizionamenti, brand.
Da questo incesto è nato un mostro, un nuovo essere: lo psicoeconomo, parente prossimo dell'Homo economicus di cui parla Scardovelli.
Tendenzialmente i due esseri si assomigliano in quanto egoisti e separati dagli altri.
Lo psicoeconomo è separato anche da se stesso, vive in un paradosso dove dovrebbe imparare a conoscersi ma si allontana sempre di più da sè!
Ciò che professa non è più una qualità di vita filosoficamente espressa e corporalmente e moralmente vissuta ma si spersonalizza, il suo incoscio abdica a favore di sua maestà l'Economia.
Lo psicoeconomo non tiene conto della comunità ma adopera le proprie risorse e conoscenze per la fidelizzazione di nuovi adepti i quali felicemente tributeranno dai 70 ai 250 euro per ogni ora del proprio potenziamento.
Ma principalmente cosa non va?
Qual'è il meccanismo inceppato che frena tutto il sistema?
E' che le richieste dell'anima e della natura umana di quel malcapitato che si rivolge allo Psicoeconomo di turno sono sempre le stesse di ogni tempo e trascendono questo mondo, le risposte sono pero "finite" ad uso del qui e ora, in un mondo che "finisce" un desiderio finisce e apre la strada ad un altro ma tutto questo alimenta disperazione e non speranza.
Lo Psicoeconomo non sa trasfigurarsi e non sa più vedere quando gira per le città cosa sia relazione e cosa transazione.
Come un POS di carne, la sua bocca si apre a fessura elargendo una striminzita umanità solo dopo la promessa inconsapevole di un proficuo tornaconto.
Lo Psicoeconomo non vive del suo lavoro, non lo ama di per se, si spaventa nel poco (penuria di clienti), si esalta nel successo, ma è lontano dall'essere amante del senso dell'essere e dell'esistenza umana.
La civetta di Minerva è ormai cieca e non vola più.
Ma veniamo a me, quanto a questo punto della mia vita riesco ad essere veritiero nel mio studio e nella mia vita?
Quanto sono e faccio oggigiorno coerentemente?
Oggi cammino per strada e mi sposto al sole per non veder troppo la mia ombra psicoeconomica.


























giovedì 7 maggio 2015

Il Vischio



Sapevate che 10 bacche di questo simpatico arbusto sempreverde sono letali?

Quando penso al vischio mi vengono in mente due immagini:
La prima è la tradizionale usanza di alcuni popoli celtici di scambiarsi un bacio sotto questo arbusto in segno di pace o di un patto suggellato.
La seconda riguarda il preparato che si ottiene facendo bollire le bacche del vischio dal quale si ottiene una soluzione simile a colla che viene spalmata sui rami di alberetti artificiali cui vengono inseriti inserti di canne e rametti tutti ben coperti di colla vischiosa per cacciare gli uccelli.
Con il vischio naturale è possibile liberare le ali del malcapitato volatile di tipo proibito.
Insomma una tecnica di caccia.
E' risaputo, qualcuno lo avrà notato con i propri occhi che gli uccelli catturati più si dibattono più rimangono invischiati.
Perchè mi affascina questo simbolico arbusto?
Perchè ha un significato antico, come antico è il legame costrittivo che simboleggia nella realtà.
Il vischio come augurio annuncia una prosperità ancora non raggiunta, appunto se la augura.
Una prosperità si fonda oltre che sulla ricchezza di possedimenti e beni anche sulle alleanze, spesso il bacio del vischio si trasforma in colla e in un legame più che tossico.
Ma torniamo al nostro volatile, immaginate un passero preso nel vischio.
Non ha via di fuga, è bloccato, il suo impeto di volare è bloccato.
Nella letteratura psicologica e psichiatrica la definizione di fissazione suona un pò meno melanconica ma è sostanzialmente la stessa:

Per fissazione si intende lo stallo di una pulsione che non trova sbocco.










Non è forse così che ci sentiamo quando ci impantaniamo in una situazione, in un legame con cose o persone o con le nostre stesse abitudini?
Più ci muoviamo per liberarci, più il mondo sembra volerci impelagare ulteriormente.
Funziona più o meno così la sequenza della Gabbia:
Ci lusingano, ci seducono, ci abbindolano, ci adescano, ci compromettono e siamo intrappolati.
Teniamo conto che questi verbi possono essere coniugati preferibilmente alla prima persona singolare quando parliamo del nostro mondo interno e della nostra responsabilità rispetto a ciò che ci accade.
Come Terminator 1 senza evoluzione rimaniamo fissati ad un solo target, procedendo per eliminazione (rimozione) di tutte quelle nozioni e di quelle esperienze che ci permetterebbero di interrompere la ripetizione di un assalto ad un unica cosa.
Per tutta la vita la nostra colla è il rischio di un unico copione di vita appreso o costruito da noi stessi, un solo modo di gestire sofferenze o traumi, un solo modo di credere a noi stessi, presentiamo alla nostra mente come automi una serie di fotografie, o al massimo una timelapse che ci dia l'idea del movimento ma essenzialmente rimaniamo fermi in un circuito di basso profilo che ci fa risparmiare energia, inizialmente infatti la ripetizione e l'abitudine ci aiutano realmente a risparmiare energia.
Unico problema è che quando non accogliamo ciò che la vita trasformerebbe, per vivere la nostra vita nella sicurezza dell'abitudine siamo disposti a sacrificare la salute del nostro corpo in onore ad una malattia o la nostra felicità all'altare di sacrifici non richiesti e senza senso.
Ma quale è il mio vischio?
Il vischio è per me il dialogo impossibile interreligioso e spirituale tra le persone, che non è più quello con l'Islam o con altre tradizioni spirituali o filosofiche come il buddismo, ma tra gli stessi cristiani.
Dio si è rivelato ai più piccoli e ai meno sapienti ma non a tutti quelli che fanno parte di questa categoria.
Esistono poveri, pastori, bambini, ignoranti che non sanno e non riconoscono chi è Dio, ne lo rispettano, non sanno cosa voglia dire "la parola di Dio".
Va da sè che essere di Cristo è improvvisazione di grazia per alcuni ma deve essere disciplina di amore per tutti.
Il cervello cristiano spirituale non è più complesso o più difficile da spiegare o ha dei requisiti più rispettabili delle altre tradizioni spirituali.
Ha solo vitale bisogno di un'integrazione completa della persona umana, tutto questo non si compie se non in grazia di Dio, nella piccolezza Dio sceglie.
Ma vale anche il contrario, per chi ricerca e non ha ancora ricevuto la grazia di Dio, è a mio avviso suo dovere ricercare l'integrazione e il lavoro su di se per quanto riguarda le emozioni, la mente e il corpo in una tutela di tutto se stesso, in modo da poter accogliere in modo sano e salvifico la parola di Dio e poterla esprimere con tutta la sua vita.
Se tutto questo non avviene la relazione tra cristiani ne risulta invischiata.
Troviamo un fango in cui ci dibattiamo in questo contenzioso digitale e rimane l'amarezza di non aver incontrato l'altra persona e di muoverci in un terreno alquanto paludoso e non riceviamo la sferzata d'acqua viva che è Gesù Cristo.
Il nostro dovere è un dovere di consapevolezza dello stato in cui siamo, noi e la relazione con l'altro fratello , uno stato fisico dove ne riconosciamo lo stato liquido, gassoso o solido.
Cerchiamo di lavorarci su, in quanto la crescita di noi stessi avviene esclusivamente in relazione, non può avvenire in meno di 2 persone.
Dio persona si propone in questa forma di crescita, nella relazione, proprio perchè fatti a sua immagine e somiglianza, crescendo nella relazione tra noi e LUI possiamo imparare a crescere nella relazione con l'altro.



mercoledì 29 aprile 2015

LIFE TRAINING




Ci sono giorni in cui vorrei conoscere chiaramente cosa è giusto o non è giusto fare.
Altri giorni lucidamente vedo questa chiarezza e non trovo il coraggio di prendere quella benedetta decisione.
Insomma vivere risulta faticoso quando si tratta di convertirsi ogni giorno, ovvero fare un'inversione a U del proprio cuore verso il bene è tremendamente angosciante, rispetto a guidare con il pilota automatico nella perpetua rotonda delle opportunità e libertà della vita.
L'Ipnosi insegna che abbassare il livello di coscienza, permette la destrutturazione di molti se non tutti i punti di riferimento, in effetti come si può costruire un nuovo palazzo se è ancora presente quello vecchio?
Questo può essere sano per una struttura sclerotizzata di un certo tipo, ma non vale in assoluto come metodo generale, in soldoni, se quest'anno ho piantato melanzane non è necessario che distrugga tutto e che l'anno prossimo io debba piantare solo pomodori.
Avviene però che in un' ottica di vendita attuale, il Mercato, ormai essere senziente, richieda avidamente il consumo incessante di prodotti nuovi di ogni tipo dai beni essenziali al fitness ,alle emozioni, ai viaggi, dispositivi tecnologici, prodotti di bellezza e in genere tutto ciò che può essere comprato al fine di garantire un benessere principalmente corporeo.
Leggevo a tal proposito che una percentuale quasi totale delle vendite sul Web e nei negozi avviene in modo estremamente veloce.
Riceviamo e assimiliamo informazioni, nozioni, pareri, opinioni su ciò che ci serve tutto il giorno e su ogni tipo di social che frequentiamo, molto prima dell'acquisto vero e proprio del prodotto.
Siamo l'ultimo anello di questa catena alimentare del consumo.
Tutto è già stato studiato, programmato, il nostro profilo è ben visibile a tutti, figuriamoci a chi ha occhi per guardare.
In un impeto di illusoria indipendenza abbiamo già confezionato nella nostra mente ciò che ci renderà più intelligenti o più furbi degli altri, più in contatto con il mondo o semplicemente " ciò di cui non possiamo fare a meno ora nel 2015".
Dentro di noi, la nostra mente e il nostro cuore sono già avviluppati dal nastrino del pacchetto regalo, eseguiamo fedelmente il packaging di ciò che era già stato modellato per noi a nostra immagine e somiglianza, in base alle nostre esigenze, alle nostre famiglie, alle nostre povertà materiali e morali, alle nostre emozioni e ai nostri vizi; alcune volte  ci beviamo uno shot di endorfine fantasticando su quell'acquisto  che ci permetterà di fare tanto del bene a 
noi stessi e agli altri.
Ci ritroviamo alla fine soffocati e disorientati sino a quando capiamo che la vera inversione è rivolgere lo sguardo a noi stessi.
Recidere il legame da Mamma Pubblicità ci provocherà angoscia, un'angoscia profonda, quella di non bastare a noi stessi e agli altri, e come affermava S.Kierkegaard, filosofo danese che per primo utilizzò il termine angoscia, essa emergerà quando mi troverò di fronte ad una scelta.
Stranamente il sacco di angoscia lo facciamo stillare di preoccupazioni sulla strada delle possibilità del mondo ma non ce ne liberiamo mai completamente in quanto possiamo appoggiarlo con sicurezza solo in un posto, nei domini del Padre.
Andare per il mondo senza punti di riferimento è un pò come uscire la mattina di casa per andare a lavorare, e alla sera tornare in una casa nuova ed ogni mattina successiva partire da un punto sempre nuovo e sempre più lontano per distanziarci sempre più dal ricordo di noi stessi.
Abbiamo un sacco pieno di cose e di angosce ma non sappiamo più chi siamo, il desiderio del sommo bene si rompe, si frammenta in tanti desideri e non abbiamo più Dio ma tanti piccoli altarini da venerare come necessari e dimentichiamo chi può riempire completamente il nostro cuore.
Alcuni colleghi e altrettanti amici mi raccomandano prudenza nel parlare di Dio e di Gesù Cristo, soprattutto in contesti professionali e accademici ma dovrò fare pur riferimento qualche volta al mio supervisore e terapeuta principale, l'unico perfettamente confrontativo e amorevolmente accogliente, il miglior Trainer è lui.
E' interessante sapere che il metodo per vivere una buona vita è gia stato scoperto, è presente, scritto, sperimentato da chi vive una fede viva, sta a noi farlo nostro.
Vi lascio con queste ultime parole che io a tal proposito ritengo ispirate, fanno parte di uno dei tanti discorsi pronunciati da un famoso allenatore di Pallavolo alla sua squadra (Italiana) pluripremiata.

" Io non sono qui per dirvi cose nuove, ma vi aiuto a scoprire la meraviglia e l'utilità di riprendere gli stessi insegnamenti"

                                                         Julio Velasco
  

mercoledì 22 aprile 2015

La grande Gru



Le Gru mi hanno sempre affascinato, sin da piccolo, grandi, forti, discreti esseri rivelano la loro presenza sopra le nostre teste solo con il loro "Kru" meccanico.
In pratica spostano e sollevano merci più o meno grandi quando con i mezzi di terra sarebbe impossibile o quantomeno improbabile.
Mi è venuta la consueta similitudine: ho pensato all'educazione dei miei figli, come arte di avvicinarsi agli altri e insegnare loro come sapersi avvicinare a momenti, opportunità e risorse nella loro vita.
In particolare pensavo all'educazione alla fede.
Parlo di questo, perchè molte volte mi perdo nel preparare un vademecum di mie esperienze e conoscenze di vagabondaggio nel mondo seguendo quell'elenco per cui gli esseri umani si distinguono dalle altre specie, ovvero: la costruzione di strumenti, il linguaggio, l'arte, la musica, l'accumulo di conoscenze, l'uso di piante come scopi alimentari o terapeutici, ma non preparo debitamente i miei figli alla dimensione del sacro.
Si potrebbe pensare che curando il fattore esistenziale o quello psicologico si possano tenere a bada le nostre angoscie rispetto alle " Domande Fondamentali", in quanto il sacro ha una componente fortemente biologica, in effetti l'espansione dei nostri lobi frontali ci permette:
a) di non fare sempre cazzate ( capacità di inibire alcuni comportamenti).
b) pensare di essere dei maghi ( possibilità di immaginare e di anticipare il futuro).

Ma, anticipare il futuro significa generare ipotesi sul nostro futuro e avere la consapevolezza della nostra morte.
Ma, della morte possiamo solo avere una misera consapevolezza, il resto è grazia e mistero.

Quindi sviluppare una sensibilità religiosa è un calmante all'angoscia scaturita da queste domande.
Può rivelarsi un'illusione o una grande suggestione se non utilizziamo gli strumenti giusti.

La grande Gru è uno di questi strumenti, è potente, nel trambusto dell'azione urbana lo abbiamo costruito come un grande braccio che passa sulle nostre teste, un peso che per gli altri oggi è insormontabile può essere portato da noi con discrezione per un tratto di strada e per un tot di tempo. può volerci un attimo a spostarlo per far riposare l'altro.
E' un atto che trova senso se riconosciamo che alcune volte anche noi abbiamo bisogno di qualcuno che sollevi e sposti certe nostre angosce, preoccupazioni, fatiche per poter riprendere fiato e con più forza e con più energie poterlo fare a nostra volta con i nostri figli e fratelli.

La grande Gru non è solo frutto della nostra volontà, è qualcosa che adoperiamo in un movimento verso l'alto e verso l' altro in uscita da noi stessi, è una sensibilità coltivata con preghiera azione e studio. 

Tutto ciò che la città ci offre lo vediamo ogni giorno, perchè non osare guardare in alto?







 

mercoledì 15 aprile 2015

La Famiglia



Ricorrere all'uso della Famiglia, alcune volte può rivelarsi più dannoso che benefico, si pensa di fare il bene dei propri figli per poi arrivare ad una escalation di sofferenze psicofisiche da far sembrare la guerra dei Roses una scaramuccia tra sedicenni innamorati.
Il pesciolino Giosuè questo lo sa, in effetti la sua famiglia non si può definire propriamente tradizionale, ma ha sempre funzionato:
Papà Cicciogallo e Mamma Babygiraffa sono sempre riusciti a far quadrare il bilancio familiare, non sono mai mancati i beni di prima necessità: alghe, mais, arbusti e amore.
Ma pesciolino Giosuè sa che i tempi cambiano, le mode invecchiano, egli si sente profondamente diverso, in un ambiente che non riconosce più una domanda affiora spontanea alla sua mente:

 
                         MA SONO VERAMENTE FIGLIO DI QUESTI DUE?


Voi riderete, anche il pesciolino Giosuè sogghigna, ma spesso i nostri figli non ci riconoscono più, si sentono uova sbagliate in una covata di uova uguali.
I nostri litigi, le nostre brutture, creano una distanza in noi e tra di noi,  sentiamo come se il nostro cuore si gelasse a milioni di km di distanza dal nostro amato sangue del nostro sangue.
Il fiume in piena degli eventi si porta appresso tutti i detriti che trova lungo il suo cammino: negatività, sogni infranti, umiliazioni, perdite di senso, piano piano perdiamo o acquisiamo nuovi arti e membra a causa delle nostre ferite.
Abbiamo teste da bambino che si affezionano morbosamente ai propri giochi perversi, con colli da giraffa pronti ad osservare con invidia il giardino dell'altro, oppure teste di gallo sempre pronte alla rissa in pingui corpi da bambino poco inclini a fatica e responsabilità.
Insomma ci si scontra in un titanico "infantile" gioco al massacro e i figli se ne vanno, si allontanano, forse pensando che non valga più la pena lottare per qualcosa che non ti appartiene più, la famiglia diventa così il giocattolo rotto, noioso e che non si usa più.
Le Famiglie, invece, sono tutte collegate da un filo:
un bellissimo libro per bambini, racconta che tutto: uomini, animali, cose, case sono attraversate da un filo che le unisce.
E' un filo secondo me, fatto da due colori: uno è il rosso sangue delle ferite, l'altro il bianco dell'acqua cristallina che rigenera.
E' un filo che si può tagliare spesso nella nostra vita, si taglia il filo con persone amate, con il lavoro, con la nostra storia, ma quando tagliamo la cima di questo filo, quell'apice che parte dal nostro cuore, tranciamo non solo le redini del nostro mondo ma recidiamo il filo del perdono che ci lega a Dio e a noi stessi.
Dio non fa lavori approssimativi, come un meccanico o un idraulico con poca passione, Dio è il medico che dona vita, egli prende la cima recisa del nostro filo e come un cordone in una nuova placenta lo riplasma in noi.
Dio ci dà la possibilità di guardarci innumerevoli volte con occhi benevoli e compassionevoli e non di rimprovero e risentimento, aprendoci alla sua fonte inesauribile d'amore osiamo dirci:

                                       " VAI BENE COSÌ COME SEI"


mercoledì 8 aprile 2015

La Parola





Le Parole sono vive, prendono la forma di chi le usa, possono incoraggiare, motivare, ferire, oltraggiare.
Le parole di oggi si divertono ad umiliare, insultano alcune volte deprimono, cioè ti portano sempre più in basso dove non c'è più luce per te.
Ho sempre considerato la parola singolarmente, sia quella a cui mi vincolavo come promessa, sia quella che utilizzavo per ferire, le frasi hanno sempre avuto per me un effetto depotenziato, quasi uno stare a galla nella società (qualcosa si deve pur dire), ma nei momenti più importanti o dolorosi della mia vita, o sono stato in silenzio o ricordo di aver utilizzato un paio di parole al massimo.
Umilmente sto al passo con i tempi, ma la parola è già un fertile argomento trattato da fonti autorevoli, recentemente Z. Bauman e C Bordoni nel loro "Stato di crisi", come nella prossima Biennale a Venezia il padiglione del Vaticano esporrà il tema dell'incipit di Giovanni e quindi del Logos.
Io ne parlo a modo mio.
Nel Bene e nel Male , il Dio cristiano è un Dio del nascondimento e la sua parola si rivela quando noi stiamo in silenzio.
E' la parola del creato, delle altre anime, è la parola di ciò che Dio ha in serbo per noi.
Ha una voce che si sente nel silenzio, è una parola che manca anche se non ne abbiamo mai sentito il sapore, come il basso in un concerto, lo noti se manca o se sai come suona.
E' una parola viva, una parola d'Eros, che avvicina al mondo, agli altri, non è la frase gettata nelle discussioni nelle famiglie o tra presbiteri, in case e comunità religiose che paiono catacombe.
E' una parola d'amore, che trasporta gioia.
Se è una parola triste, Dio sta seduto a tavola ad aspettare che ci svegliamo dal nostro hikikomori di preghiera distaccata.
Non ci innamoriamo del Cristo negli altri, ma lo idealizziamo o ne proiettiamo un'immagine distorta sulle altre persone creando un amorfo e sudicio posticcio delle nostre paure e ossessioni.
Siamo al varco di noi stessi, la parola sta un pò dentro e un pò fuori da noi, se non usciamo da noi stessi, lasciando un pò affamato il nostro Io, nell'altro vediamo solo ciò che potrebbe renderlo meno difettoso ai nostri occhi o altrimenti un grande uomo da adorare.
Ma se ci lasciamo accompagnare dalla nostra " Maddalena" interiore che sa vedere prima di tutti, la parola si fa carne, o meglio si fa altro, si fa Cristo nell'altro e usciamo dal nostro amato sepolcro Ego.
La Parola di Dio, quindi l'Eucaristia , insieme, in quanto persona e insegnamento non si dividono nella figura di Gesù Cristo, si rivela tossica, da espellere, per quelle anime che non gli fanno posto.
L'Io diventa il grande vitello d'oro ebreo di questi tempi...
E se impera l'IO non esiste più DIO.
 

martedì 24 marzo 2015

La Cittadella del Tempio



Era un tempo buio, la Cittadella del Tempio era l'unica luce che ancora splendeva fulgida nell'oscurità dei nove regni. 

La regina Perdita generò due figlie:
 Vigilanza e Distrazione.
 Le due figlie crebbero in forza, bellezza e sapienza.


VIGILANZA, la primogenita, amava il susseguirsi delle stagioni, seguire il ritmo naturale delle cose, imparava i segreti per trovare l'acqua, seguire le tracce della selvaggina e raccogliere bacche commestibili.
Sapeva quali erano i terreni inospitali, le sabbie mobili e i mostri da evitare  superati i confini del regno del Tempio.
Il suo scopo era proteggere e conservare intatta la bellezza e la pace della Cittadella. 

DISTRAZIONE passeggiava vestita di fiori e di frutti, si svestiva di primavera, si vestiva d'autunno e si ornava con i gioielli dell'inverno.
Era amata da tutti e tutti lei amava.
Poteva cogliere un amico o un istante felice allo stesso modo, qui e ora, come si coglie una margherita di campo senza ansia per il futuro o nostalgia del passato, splendeva di passione.
Distrazione trasmetteva serenità e amava particolarmente TEMPO, il quale corrispondeva con lo stesso sentimento e con altrettanti doni.


Perdita era riuscita in tutti quei secoli a creare equilibrio nel regno, vi era perfetta armonia tra ciò che doveva raggiungere la Grande Luce e quello che poteva ancora abitare in quei luoghi di serenità.

Ora però in tutti i 9 regni, il potere oscuro del Perturbatore creava disordini, confusione e perdita di senso; il buio si impadroniva voracemente di tutto ciò che era senza protezione e lambiva perfino i confini della Cittadella seppur difesa strenuamente e sapientemente dall'esercito dei 7.

Vigilanza comandava e guidava l'esercito con coraggio e astuzia.

L'orizzonte per la Cittadella appariva ancora profondamente luminoso, grazie anche ai frequenti viaggi di perlustrazione nelle straniere e buie lande desolate dai quali Vigilanza portava a casa conoscenza ed esperienza ma anche ferite e dolori.

Nel mentre anche Distrazione aveva il suo bel da fare, le sue mani erano sempre pronte ad accarezzare amorevolmente chi aveva bisogno, liberandolo da inutili preoccupazioni o utilizzava i doni di Tempo per il bene del paese.

Ma i doni che Tempo offriva con profondo amore, provenivano spesso da luoghi sconosciuti e si sa, alcune volte l'ardore del sentimento porta con se indicibili sciagure.

Come ogni giorno , Vigilanza fermò Tempo che rientrava da uno dei suoi viaggi e come di consuetudine  gli chiese di mostrarle cosa avesse con sè.
Tempo svelò un prezioso ma tetro scrigno di oro brunito.
Vigilanza lo aprì per verificarne il contenuto ed una quantità ridicola di polvere nera schiaffeggiò il suo viso, ella richiuse velocemente il cofanetto battendo forti colpi di tosse.

Il buio era entrato nella Cittadella.
Vigilanza si ammalò gravemente  e poco tempo dopo morì.


Sul forziere apparirono due parole a formare un ironico enigma " Lo sai?"

Perdita si abbandonò a quel dolore di madre, si nascose agli occhi della sua gente rifugiandosi nella torre più alta e perse il controllo della Cittadella.

Distrazione si separo da Tempo, e cominciò a pellegrinare senza meta nel regno, le stagioni andavano e venivano senza più un ordine naturale e contribuivano al turbamento e allo scompiglio della Città.

La cittadella era così  in preda all'oscurità, confusione e disorientamento regnavano.

Un giorno, tra le rovine di quel luogo un tempo magnifico, giunse un viandante e 
chiese udienza alla corte della Regina.

Fu accolto da due irriducibili ma anziani soldati.

Gli fu risposto che avrebbe trovato la Regina sulla torre, ma di non aspettarsi una calda ospitalità.

Il viandante raggiunse la Torre più alta. trovò la regina consumata come un vecchio albero e si presentò:

- Mia Signora, il mio nome è Umiltà e sono un pellegrino delle buie lande!

Non seguì nessuna risposta da parte della deposta regnante.

- Mia Signora, ho viaggiato per i 9 regni e finalmente vi ho trovato.

Con delicatezza adagiò una bimba davanti a Perdita.

La regina guardò la piccola e nei suoi occhi riconobbe gli occhi della sua primogenita, volse uno sguardo interrogativo al pellegrino e lui rispose che era nata durante uno dei viaggi di Vigilanza, una piccola luce nata nel buio più profondo, il suo nome era: PREGHIERA.

Perdita dopo tanto tempo sorrise e ringraziò.

Il regno avrebbe conosciuto una nuova Era.














lunedì 16 marzo 2015

I Bambini e i Giganti.



Ieri pomeriggio eravamo in agriturismo, osservavo mia figlia e altri bambini giocare insieme nel cortile, era un gioco semplice, al centro del cortile c'era un vaso di media grandezza che conteneva un grande Lupo Feroce.
Presumevo che il gioco consistesse nello sfiancarsi urlando a squarciagola, affrontando o fuggendo al cospetto del canide mitologico.
Ma si sa i bambini accedono con molta più facilità alla verità della fantasia e quindi alla conoscenza di valori intuitivi universali.
Cosa voglio dire?
Immaginate un tranquillo cortile con dei tavoli e voi che gustate deliziosi prodotti del posto, diventare ad un tratto una pediatrica Bolgia dantesca dove gironi di bambini divisi in branchi di coetanei si divertono allegramente.

Usando il mio proverbiale distacco ed assenza di giudizio, ovvero fregandomene un pò di ciò che stava accadendo, sono rimasto affascinato da questo turbinio di mezz'uomini e da alcune cose in particolare:

1) i branchi dei bambini divisi per età giocavano in modi completamente diversi ma non perdevano nè la concentrazione nè tantomeno la passione per quello che facevano.

2) la frase di mia figlia :
- "Guarda cosa fanno i grandi!"

C'era un ordine naturale nella pacifica convivenza e indifferenza di questa orda di piccoli Unni, e mia figlia, in una frase  spiegava senza saperlo o meglio affermava senza spiegarlo, l'ambizione di essere grandi, guardare "il grande" come qualcosa da imitare e da seguire.

Viviamo in un mondo dove spesso si vive per difetto, con molti timori e poche aspirazioni di diventare "Grande", ci costruiamo perfetti alibi che ci garantiscono tutt' al più di non diventare un cattivo esempio come quello o quell'altra persona.

Tutto questo diventa uno stagno di melma interiore, che ci impedisce di diventare "Grandi" ma non di crescere, diluiamo piccole coscienze in grandi corpi, insomma rischiamo di buttare il bambino e l'acqua sporca.

La crescita interiore è legata anche a quella fisica e spaziale nel mondo;
ricordo la dolce ma sapiente metafora del film BIG FISH di Tim Burton dove il protagonista Edward cresce con incredibile rapidità e in tre anni il suo corpo è maturo e adulto: dentro il suo corpo si fa spazio una forza che è quella dei bambini.
Il voler sbocciare ad ogni costo e nel modo più veloce possibile, secondo noi adulti alcune volte troppo sbrigativo, rivela un profondo insegnamento nella frase "voglio diventare grande".
Queste parole non hanno tempo e neanche età e i bambini lo sanno, lo intuiscono come un naturale processo delle cose.

Quando la nostra consapevolezza cresce, ci crescono le gambe dell'anima, a noi decidere se e quanto tempo stare in una casa che è ormai troppo stretta.




I Bambini vanno e vengono nel mondo, loro ci insegnano come diventare Grandi, noi invece possiamo donare ad essi la chiave d'oro della città e mentre loro viaggeranno sapranno che noi saremo là sull'uscio di casa ad aspettarli.



domenica 8 marzo 2015

Primo nel mondo, secondo a Nuoro






Per chi ha vissuto o vive tuttora in questa ridente cittadina dell'entroterra sardo questa frase è molto chiara, o comunque si annida più o meno coscientemente nella mente di ogni nuorese.
Il significato simbolico di ciò che potrebbe esser considerato come un anatema è sancito prevalentemente da due confini:

1) Non sei di Nuoro:

Appartieni ad un indefinito luogo che si trova al di fuori dei porti sardi. 
Ciò comporta che qualsiasi sia la specialità, il talento o la caratteristica tua e del luogo che abiti, sarà inferiore per qualità, forza e attrattiva a ciò che l'ISOLA possiede.
Facendo un esempio gastronomico, con la tua cucina d'avanguardia culinaria apprezzata e ottimamente recensita Gourmet, potresti essere severamente umiliato da un primo, un secondo e forse anche da un dolce.

2) Sei di Nuoro:

Sei diventata l'Astroforetti del giorno, o uno scrittore di "articoli assai venduti", ma quando tornerai in città verrai preso per il culo nello stesso modo, e forse se ti capita di tornare per le feste, anche dalle stesse persone con cui passeggiavi 20 anni fa al corso Garibaldi.

Sinceramente non avevo mai compreso appieno questo atteggiamento, in quanto, quando lavoro in psicoterapia, credo maggiormente nel rinforzo positivo e nei lunghi discorsi per motivare le persone e non, nel dichiarare il Fatto duro e crudo di realtà; ma alcune volte queste mie "sedute" affettuose, si rivelano veri e propri Flop, il cliente se ne va e a me rimane una grande amarezza.

Cosa apprendo quindi dalle battute asciutte, l'ironia e il non prendere troppo sul serio le mie competenze, o quelle altrui? Un grande segreto!

Imparare ad uscire dalla zona di conforto.

Nuoro ti sbatte in faccia la realtà, la sua, ma che comunque non puoi ignorare.

E' una realtà secca, un sarcasmo che smidolla le competenze, gli studi, le conoscenze.
Se sopravvivi è perchè sai piegarti con riverenza al ludibrio popolare e accettare di sporcare un pò la tua sedicente immagine.

Messo così, sembrerebbe un calvario verso l'umiliazione.

Ma non è tutto qui, l'elemento importante è il successivo:
Essere messo in discussione, veramente, ti scompagina, ti smappa, ti disorienta.

In Sardegna e precisamente a Nuoro è possibile che posti e luoghi non siano coerenti con il vestito che si porta, forse è probabile che tu ti possa trovare in un Ovile o nella più umile delle bettole in compagnia di famosi musicisti, oppure conoscere la storia di allevatori con licenza elementare che commerciano vino in Giappone comunicando con imprenditori di alto livello, attraverso la saggezza del mosto.

Questo mi ha insegnato una regola importante nella vita, non importa quanto tu sia bravo, ma quanto costanza e disciplina hai, che devi continuare sulla tua strada e che puoi stare a testa alta, con dignità, nella più infima delle bettole come nella più rinomata delle corti, con la stessa tranquillità davanti ad un Re o ad un Oste.

Mi ha insegnato a dare del "tu" all'anima delle persone, quando ne riconosco l'umanità e non solo la professionalità, e questo crea Verità e contatto con l'altro.

Gli insegnamenti impartiti da Nuoro e dalle famiglie che mi hanno adottato sono incisi in me come i 10 comandamenti.
Ognuno di questi comandamenti corrisponde ad una ferita, una ferita al mio Ego, se accetto di esser ferito, rischio di incontrare me stesso e stare in un luogo sicuro..la mia terra.

Grazie Nuoro.

domenica 1 marzo 2015

Il Ronin e il Bambino



In questo periodo dedico molto tempo a mio figlio di 9 mesi.
Lo sveglio, gli preparo da mangiare, gioco con lui, gli cambio il pannolino, lo addormento.

Oggi, mi sono ricordato di un discorso fatto circa tre settimane fa con il mio amico Pierpaolo.
Parlavamo di cultura giapponese, o meglio, lui parlava.
Fare un discorsino con Pierpaolo significa infatti venire catapultati in Matrix, un universo parallelo di conoscenza, dove, se tu, in quei dieci minuti di discussione hai a disposizione due computer connessi ad alta velocità per fare ricerche incrociate, ed uno stuolo di discepoli scrivani che prendono appunti, riesci a comprendere una stringa di quel mare di riferimenti, immagini, nozioni, esperienze; altrimenti, se sei un pò come me, ti colpisce una cosa, e quella ti rimane in testa.

La storia è quella di un Ronin (un samurai senza padrone), il quale dopo lo sterminio di quasi tutta la sua famiglia e la sua casata, con il proprio figlio nella culla, incomincia il suo viaggio per vendicarsi.

Per me è diventata subito un'ironica allegoria del nostro esser genitori.

Spesso sulle nostre famiglie cala un vero e proprio inverno, le intemperie rischiano di spegnere il sacro fuoco domestico: il vento gelido dell'indifferenza; la pioggia incessante delle lacrime di rancori, tradimenti; la neve, coltre che copre i problemi; la nebbia del "dover essere".
I bambini con la loro luce imparano ad essere Tedofori dei sogni altrui.
E se tutto ciò non fosse abbastanza, si aggiunge il tempo plumbeo e uggioso dove non si insegna ai propri figli la libertà, a dare un nome alle emozioni che stanno provando e a dargli dignità.

Insomma il Samurai senza padrone assume per me un significato iniziatico.

Il ronin, porta suo figlio attraverso la vita, chiarisce con i gesti e i fatti che la vita non è fatta di ruoli prestabiliti, cosa puoi sembrare o come puoi apparire all'altro.
Ma è vitale cosa sai fare o non sai fare, quanto riesci a reggere la fatica o come sai affrontare una situazione difficile da solo.

Simbolicamente essere padri genera un posto in prima linea in questo mondo.

Se i padri voltano le spalle, piegano la schiena, la barriera educativa si infrange e i figli dovranno necessariamente difendersi da soli e chiamati precocemente alle armi non potranno:

1)studiare
2)riposare
3)amare e giocare

Il muro genitoriale è vinto!

La prima barriera è molle, friabile, si ristruttura spesso perchè non si usa materiale di qualità, non è riconoscibile nel tempo, fa passare tutto o non fa passare niente.

Il Ronin no. Il Ronin non vive in questo modo.

Egli va verso la vita, si mette in strada, non è fermo nelle paludi della lamentela o della "giusta giustificazione", ama, combatte ma:
Con una culla e un bambino che tiene per la mano.

Non è libero ma non è prigioniero.
Rischia ma non azzarda.
E' responsabile di qualcosa che lo trattiene da un'ira che distruggerebbe gli altri e se stesso.
E' l'arco che fa scoccare la freccia..il proprio figlio nella vita.

E cosi piano piano..l'inverno lascia spazio alla primavera.



L'impotenza diventerà pazienza.
Il sacrificio diventerà resistenza. 
La forza diverrà Amore.