venerdì 29 maggio 2015
Una piccola idea
C'era una volta un lupo di mare.
Era vecchio ma ancora giovane, severo ma gentile.
Un giorno saltellando durante una delle sue passeggiate sulle spiaggie, trovò tra i vari rifiuti una mezza bottiglia di plastica all'interno della quale era accartocciato un piccolo rotolo di carta spiegazzata, agguantò il rotolo, gettò il pezzo di plastica sbiadito dal sale e dal sole e con i suoi occhi stanchi ma vigili iniziò a leggere sottovoce:
"Lasciar andare, lasciarsi andare.
Diciamo pure che sono un habitué della Legge di Murphy. Nel corso degli anni, che ormai cominciano ad essere abbastanza numerosi da potersi considerare significativi, il più delle volte ho dovuto sottomettermi all'assioma che, se c'è qualcosa a cui tengo e che desidero con tutta me stessa, è pressocchè certo che andrà male. Fortunatamente, tra gli accessori che mi sono stati forniti di serie, è compresa una certa dose di ironia, il ché aiuta non poco nell'affrontare le curve impervie della vita. Fare i conti con l'irrealizzabilità di un progetto a cui tieni, l'irrevocabilità di alcuni avvenimenti, l'inaccessibilità di qualcuno che pure vorresti parte della tua vita, è una frustrazione ed una ferita al proprio narcisismo, ma porta con sé una delle lezioni più importanti che mi siano state impartite. Impara a lasciar andare. In un mondo che lascia molto poco spazio all'imperfezione, in cui “volere è potere” (e non sono sicura di quale significato attribuire alla parola potere...) e prosperano psico-guru che dovrebbero insegnarci la via della realizzazione personale, lasciar andare suona quasi come una bestemmia.
Senza quasi.
Eppure lasciar andare significa accettare, significa lasciare liberi gli accadimenti di svolgersi per come devono, libere le persone di comportarsi ed essere per come sentono, libero chi amiamo di lasciarci, di andarsene o di restare. Lasciare andare allora non ha niente a che vedere con il piegarsi (per restare nell'analogia con il potere) a ciò che non gradiamo, ma c'entra invece con la libertà.
E dunque con l'amore.
È compiere un passo indietro e fare spazio, fare un luogo in cui accettiamo di non essere onnipotenti, di non poter controllare tutto, accettiamo di poter soffrire. E di essere in grado di guarire dal nostro dolore. Lasciamo andare e ci lasciamo andare. Che poi è la premessa per entrare davvero in relazione con qualcuno.
In effetti credo che, se aspettassimo di poterci fidare ciecamente di qualcuno per innamorarci, avremmo finito per estinguerci da un pezzo. La questione non è essere certi che l'altro non ci ferirà, ma accogliere quanto di imponderabile e misterioso vi è nello scorrere della vita. Assumerci la nostra quota di responsabilità, e non oltre. Restituire all'altro la sua quota di responsabilità, e non oltre.
È, in ultima analisi, sgombrare il campo dalla colpa, nostra o che attribuiamo all'esterno. Perchè non si è mai visto che il senso di colpa abbia mai fatto crescere nessuno. Né che abbia fatto restare nella nostra vita chi non lo desiderava".
E.
Il lupo fece una smorfia con il muso, ne aveva passato e visto di cotte e di crude nella sua vita e ascoltate ancora di più, tutte quelle parole erano per lui incomprensibili, quindi con noncuranza e anche un pò annoiato fece una palla di carta con il rotolo, con un bel calcio la fece volare lontano da sè, e con un balzo in acqua e due pinnate era già sulla sua isola a prendersi beatamente il sole.
Di lì a poco passava sulla spiaggia un vecchio artrotopo disoccupato, licenziato poco tempo prima da alcune signore chiamate Moire (dovete sapere infatti che questo simpatico roditore era assunto a tempo pieno, diciamo... nella rescissione o meglio recisione di alcuni contratti..di vita), insomma aveva perso il lavoro per alcune divergenze di vedute sulla gestione aziendale.
Tutto ad un tratto, il topo si trovò a terra zampe all'aria, era caduto e notò un rotolino di carta ingiallito sul muso poco sopra i suoi baffi.
Lo lesse.
Il roditore cominciò a piangere, singhiozzare, disperarsi per tre giorni di seguito.
Al 3° giorno Dio, sentite le lamentele di tutto il vicinato parlò:
Dio: " Ehi tu perchè piangi?"
L'artrotopo pensò di essere ormai completamente pazzo vinto dal suo dolore quando riudì la voce.
-D. :"Si tu topo, cosa hai da piangere?"
il topo ormai commosso irrimediabilmente parlò come si può parlare all'intimo della propria coscienza, di come quelle parole scritte lo avessero toccato e della sua impotenza nel non poter fare niente.
Dio disse:
" Cosa fai nella tua vita?"
T. : in effetti sarei momentaneamente in cerca di occupazione..
D. : Lo so! Ma cosa vuoi?
T. : in effetti io vorrei...
D. : Ok ti assumo!
T. : Ma non so neanche chi sei, manco ti vedo, e poi che contratto?
Quali garanzie?
Siamo nel 2015, ho bisogno di sicurezze!
DIO: Ascolta: Ho una piccola idea che potrebbe interessarti.
Sarai in prova per un anno sotto la mia supervisione, il tuo lavoro sarà
quello di tagliare tutti i legami inutili e dannosi che legano e soffocano le ,
persone affinchè io possa tessere quello tra me e loro.
In quel preciso istante, si udirono nel mondo sospiri, lacrime di gioia, WOW da bambino, battiti di mani, balli, baci rumorosi, baci silenziosi, pacche sulle spalle, abbracci.
Nuove scoperte nascevano da una piccola idea.
L'Artrotopo aveva cominciato a lavorare.
giovedì 21 maggio 2015
DOPPI SEGNALI, DOPPI LEGAMI
Ti sarà capitato almeno una volta nella vita di trovarti inaspettatamente in una "posizione insostenibile".
Un momento dove tutto diventa paradossalmente logico, ma proprio per questo altamente confusivo.
- " Ma mio padre, mi sta dicendo che mi vuole bene quando mi chiede di passargli il sale o quando mi sgrida perchè io gli ubbidisca?"
- "Non capisco cosa abbia voluto intendere mamma con quella frase pungente e quel ghigno sorridente quando mi dava i soldi della paghetta".
- " Con mia moglie è sempre la stessa storia, che faccia una cosa o l'altra mi sento sempre peggio e a lei non va mai bene niente".
Queste sono solo alcune delle situazioni dove può essere presente un doppio segnale, cioè una situazione apparentemente neutra dove tu sei in mezzo a due messaggi con intensità uguale ma direzioni diverse nello stesso momento, in pratica immagina che sul tuo cervello ha più o meno questo effetto:
Spesso questo succede nei primi rapporti significativi della nostra vita, quelli con i nostri genitori.
Piovono dall'alto polpette di imposizioni contradditorie che farcite con assenze e presenze ambigue o evitanti possono portare a problematiche di tipo schizoide.
CHE VUOL DIRE?
Immaginate le vostre vite condite esclusivamente da relazioni " Mamma Mediterranea".
La vostra genitrice vi esorta ad andare per il mondo a fare le vostre scoperte, ma al momento della vostra partenza, o della preparazione della vostra valigia vi ama sempre più con frasi del tipo " Tu vai, io muoio", non necessariamente pronunciate vocalmente.
Ipotizzo che questo bel gioco, che per alcuni diventa un lavoro remunerato, appartenga a molti operatori che si adoperano in ambito educativo, sia con i propri figli che in una qualsiasi relazione di aiuto, parlo di operatori con i propri figli perchè l'effetto anche sulla relazione familiare è abbastanza meccanico, fatto prevalentemente di operazioni.
Funziona un pò così:
A) Tuo figlio ( cliente, paziente, utente) fa una cosa sbagliata.
B) Tu pensi: è sbagliato! o meglio pensi a ciò che ti è stato insegnato come sbagliato.
C) Punisci tuo figlio (cliente, paziente, utente) lo rimproveri o gli spieghi che ciò che ha fatto è altamente riprovevole.
A questo punto la comunicazione è suddivisa percentualmente in questo modo:
95% = Tu e la tua arringa.
5% = La mimica facciale basita e il silenzio del tuo interlocutore.
Quale è il messaggio di questa relazione?
Il motivo per cui si agisce in un modo conosciuto, appreso, per quanto giusto e onorevole sia può nascondere la necessità di appiccicare un'immagine all'altro per tappare la propria angoscia.
Durante la giornata mi chiedo più volte, ma perchè tutte queste domande sul come si costruisce una relazione?
La suggestione che mi evoco da solo è che se noi per un momento paragoniamo il principio educativo generale ad un precetto come può essere quello di stile ebraico fortemente a servizio di una legge che ce ne facciamo di una relazione con l'altro, o meglio che ce ne facciamo dell'altro?
Tutto è già stato studiato, ispirato, regolato.
Mi colpisce sempre la sicurezza e la bontà di alcuni mentori psicopedagogici o di alcuni baldi genitori nell'accettare senza remore una unica teoria educativa e proporla indistintamente ai propri tre figli o ai propri discepoli.
Insomma il metodo educativo o terapeutico nella relazione d'aiuto diventa in questo modo lettera che uccide, lo spirito creativo ne esce fortemente compromesso.
A livello prosociale però si continua a rispondere falsamente così:
PIANO EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO
Obbiettivo raggiunto: L'utente annuisce e esegue secondo il buon ordine delle cose.
Obbiettivo..Fallit..(non si dice) da ricalibrare: L'utente è oppositivo, non collabora, abbandona la situazione, reagisce violentemente alla "sana imposizione".
Unica variabile non presa in considerazione:
Il " Datore di Cura" dove sta?
Nella relazione è presente?
Il doppio legame viene traslato nel tempo, il Datore di Cura soffre e diventa un canale di coercizioni apprese, spesso non sue, sulle quali non ha avuto alcun senso critico, ne tantomeno è riuscito a filtrarne il marcio.
Le coercizioni libere di fluire passano da un ricevente all'altro e si attaccano come melma che lega e imprigiona la vita.
Il doppio legame diventa intergenerazionale, impedisce con l'andare degli anni ad ogni membro di quella famiglia di masticare e discriminare con esperienza in prima persona la propria pedagogia, quel poco che consente è di trasmettere una pseudoeducazione di facciata.
Ora non immagino soluzioni, però pensare che alla stessa stregua di comportamenti violenti, passivi o benefici e altruisti appresi, anche un certo tipo di doppio legame abbia una base trasmissiva genealogica, mi porta a dedurre che ci possa essere un contrapasso funzionale, cioè quello di potersi distaccare da un certo tipo di filtro feticcio esistenziale e di visione della realtà che troppo spesso confondiamo con noi stessi.
NOI NON SIAMO LA GRIGLIA CON CUI VEDIAMO IL MONDO.
In verità, possiamo attingere ad uno spirito che vivifica la nostra intera esistenza, formandoci non ad imitazione dei santi o di uomini migliori di noi ma nelle ferite della nostra persona.
Il vero cambiamento storico abbraccerà la nostra storia personale e non sarà frutto della buona riuscita di un metodo, ma del fatto che è rivolto personalmente ad ognuno di noi.
giovedì 14 maggio 2015
Lo Psicoeconomo
Oggi guardavo un video su Youtube di Mauro Scardovelli, un docente universitario che ha abbandonato la carriera per fondare un Istituto di ricerca umanistica, più o meno so questo di lui.
In questo momento non importa tanto lui, ne tutte le cose che afferma durante la sua lezione all'Università di Economia di Genova, ma una cosa mi ha colpito, una sua riflessione che sento di condividere anche io in questo periodo.
Si parla di Economia ma anche di Psicologia e Filosofia:
Ormai sempre più psicologi si occupano con passione ed entusiasmo di vendita e di mercato come se la disciplina dell'anima avesse scoperto di possedere il fantomatico gene X.
Nasce quindi una nuova disciplina mutante da super eroi attraverso la quale con l'utilizzo di tecniche e di test si può aprire magicamente la mente e il portafoglio di migliaia di pazienti o meglio di migliaia di persone " dal potenziale ancora inespresso".
La imperitura sciocchezza nota ormai a chiunque:
" Utilizzate solo il 10% del vostro cervello"
e altre sullo stile: come poter acquisire risorse e poteri telecinetici per esprimere al meglio le proprie potenzialità, per far soldi, parlare davanti ad una platea, superare un lutto facendo un HALF IRONMAN comodamente seduti a casa vostra, ha tirato su più pesci che un paranco!
La Psicologia, figlia della Filosofia e del veder lontano, ha trasceso tempo e spazio solo per esigenze di mercato ed è diventata schiava dell'economia.
Come sottolinea Scardovelli, come altre materie pseudo sociali è rimasta accecata dal suo individualismo, dalla sua sete da "parco clienti", da un narcisismo egoistico, perdendo di vista il vero perchè dello studio della natura umana.
Come un utero in affitto di conoscenza e clinica, la Psicologia è stata fecondata da movimenti di mercato, posizionamenti, brand.
Da questo incesto è nato un mostro, un nuovo essere: lo psicoeconomo, parente prossimo dell'Homo economicus di cui parla Scardovelli.
Tendenzialmente i due esseri si assomigliano in quanto egoisti e separati dagli altri.
Lo psicoeconomo è separato anche da se stesso, vive in un paradosso dove dovrebbe imparare a conoscersi ma si allontana sempre di più da sè!
Ciò che professa non è più una qualità di vita filosoficamente espressa e corporalmente e moralmente vissuta ma si spersonalizza, il suo incoscio abdica a favore di sua maestà l'Economia.
Lo psicoeconomo non tiene conto della comunità ma adopera le proprie risorse e conoscenze per la fidelizzazione di nuovi adepti i quali felicemente tributeranno dai 70 ai 250 euro per ogni ora del proprio potenziamento.
Ma principalmente cosa non va?
Qual'è il meccanismo inceppato che frena tutto il sistema?
E' che le richieste dell'anima e della natura umana di quel malcapitato che si rivolge allo Psicoeconomo di turno sono sempre le stesse di ogni tempo e trascendono questo mondo, le risposte sono pero "finite" ad uso del qui e ora, in un mondo che "finisce" un desiderio finisce e apre la strada ad un altro ma tutto questo alimenta disperazione e non speranza.
Lo Psicoeconomo non sa trasfigurarsi e non sa più vedere quando gira per le città cosa sia relazione e cosa transazione.
Come un POS di carne, la sua bocca si apre a fessura elargendo una striminzita umanità solo dopo la promessa inconsapevole di un proficuo tornaconto.
Lo Psicoeconomo non vive del suo lavoro, non lo ama di per se, si spaventa nel poco (penuria di clienti), si esalta nel successo, ma è lontano dall'essere amante del senso dell'essere e dell'esistenza umana.
La civetta di Minerva è ormai cieca e non vola più.
Ma veniamo a me, quanto a questo punto della mia vita riesco ad essere veritiero nel mio studio e nella mia vita?
Quanto sono e faccio oggigiorno coerentemente?
Oggi cammino per strada e mi sposto al sole per non veder troppo la mia ombra psicoeconomica.
giovedì 7 maggio 2015
Il Vischio
Sapevate che 10 bacche di questo simpatico arbusto sempreverde sono letali?
Quando penso al vischio mi vengono in mente due immagini:
La prima è la tradizionale usanza di alcuni popoli celtici di scambiarsi un bacio sotto questo arbusto in segno di pace o di un patto suggellato.
La seconda riguarda il preparato che si ottiene facendo bollire le bacche del vischio dal quale si ottiene una soluzione simile a colla che viene spalmata sui rami di alberetti artificiali cui vengono inseriti inserti di canne e rametti tutti ben coperti di colla vischiosa per cacciare gli uccelli.
Con il vischio naturale è possibile liberare le ali del malcapitato volatile di tipo proibito.
Insomma una tecnica di caccia.
E' risaputo, qualcuno lo avrà notato con i propri occhi che gli uccelli catturati più si dibattono più rimangono invischiati.
Perchè mi affascina questo simbolico arbusto?
Perchè ha un significato antico, come antico è il legame costrittivo che simboleggia nella realtà.
Il vischio come augurio annuncia una prosperità ancora non raggiunta, appunto se la augura.
Una prosperità si fonda oltre che sulla ricchezza di possedimenti e beni anche sulle alleanze, spesso il bacio del vischio si trasforma in colla e in un legame più che tossico.
Ma torniamo al nostro volatile, immaginate un passero preso nel vischio.
Non ha via di fuga, è bloccato, il suo impeto di volare è bloccato.
Nella letteratura psicologica e psichiatrica la definizione di fissazione suona un pò meno melanconica ma è sostanzialmente la stessa:
Per fissazione si intende lo stallo di una pulsione che non trova sbocco.
Non è forse così che ci sentiamo quando ci impantaniamo in una situazione, in un legame con cose o persone o con le nostre stesse abitudini?
Più ci muoviamo per liberarci, più il mondo sembra volerci impelagare ulteriormente.
Funziona più o meno così la sequenza della Gabbia:
Ci lusingano, ci seducono, ci abbindolano, ci adescano, ci compromettono e siamo intrappolati.
Teniamo conto che questi verbi possono essere coniugati preferibilmente alla prima persona singolare quando parliamo del nostro mondo interno e della nostra responsabilità rispetto a ciò che ci accade.
Come Terminator 1 senza evoluzione rimaniamo fissati ad un solo target, procedendo per eliminazione (rimozione) di tutte quelle nozioni e di quelle esperienze che ci permetterebbero di interrompere la ripetizione di un assalto ad un unica cosa.
Per tutta la vita la nostra colla è il rischio di un unico copione di vita appreso o costruito da noi stessi, un solo modo di gestire sofferenze o traumi, un solo modo di credere a noi stessi, presentiamo alla nostra mente come automi una serie di fotografie, o al massimo una timelapse che ci dia l'idea del movimento ma essenzialmente rimaniamo fermi in un circuito di basso profilo che ci fa risparmiare energia, inizialmente infatti la ripetizione e l'abitudine ci aiutano realmente a risparmiare energia.
Unico problema è che quando non accogliamo ciò che la vita trasformerebbe, per vivere la nostra vita nella sicurezza dell'abitudine siamo disposti a sacrificare la salute del nostro corpo in onore ad una malattia o la nostra felicità all'altare di sacrifici non richiesti e senza senso.
Ma quale è il mio vischio?
Il vischio è per me il dialogo impossibile interreligioso e spirituale tra le persone, che non è più quello con l'Islam o con altre tradizioni spirituali o filosofiche come il buddismo, ma tra gli stessi cristiani.
Dio si è rivelato ai più piccoli e ai meno sapienti ma non a tutti quelli che fanno parte di questa categoria.
Esistono poveri, pastori, bambini, ignoranti che non sanno e non riconoscono chi è Dio, ne lo rispettano, non sanno cosa voglia dire "la parola di Dio".
Va da sè che essere di Cristo è improvvisazione di grazia per alcuni ma deve essere disciplina di amore per tutti.
Il cervello cristiano spirituale non è più complesso o più difficile da spiegare o ha dei requisiti più rispettabili delle altre tradizioni spirituali.
Ha solo vitale bisogno di un'integrazione completa della persona umana, tutto questo non si compie se non in grazia di Dio, nella piccolezza Dio sceglie.
Ma vale anche il contrario, per chi ricerca e non ha ancora ricevuto la grazia di Dio, è a mio avviso suo dovere ricercare l'integrazione e il lavoro su di se per quanto riguarda le emozioni, la mente e il corpo in una tutela di tutto se stesso, in modo da poter accogliere in modo sano e salvifico la parola di Dio e poterla esprimere con tutta la sua vita.
Se tutto questo non avviene la relazione tra cristiani ne risulta invischiata.
Troviamo un fango in cui ci dibattiamo in questo contenzioso digitale e rimane l'amarezza di non aver incontrato l'altra persona e di muoverci in un terreno alquanto paludoso e non riceviamo la sferzata d'acqua viva che è Gesù Cristo.
Il nostro dovere è un dovere di consapevolezza dello stato in cui siamo, noi e la relazione con l'altro fratello , uno stato fisico dove ne riconosciamo lo stato liquido, gassoso o solido.
Cerchiamo di lavorarci su, in quanto la crescita di noi stessi avviene esclusivamente in relazione, non può avvenire in meno di 2 persone.
Dio persona si propone in questa forma di crescita, nella relazione, proprio perchè fatti a sua immagine e somiglianza, crescendo nella relazione tra noi e LUI possiamo imparare a crescere nella relazione con l'altro.
Iscriviti a:
Post (Atom)